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"Istanbul" traccia l'indagine di un'osservazione alla finestra. L'occhio di Orhan Pamuk, attraversato da bambino e adulto innocente, diviene quasi decalogo d'altre orme autorali passate e presenti, inseguimento di personaggi isolati ed esperienza della città secondo avvicinamenti e porzioni di sguardo incubatrici di silenzi, pregiudizi, censure effettive e richiami sensoriali tra quartieri e strettoie nelle pieghe inesplorate delle letterature. Il volto sdoppiato e onnipresente del Bosforo, gli effetti ciclici delle invasioni e la bellezza tragica comune agli sfondi, fanno da cassa di risonanza del ricordo e umore primigenio delle evasioni, come dei vagabondaggi. Dei nomi urbani che mutano secondo padrone. La prospettiva è di chi vive una geografia occidentale e orientale come terreno unico e molteplice, vigile alle divisioni. È la dichiarazione che afferma: "il destino di una città può formare il carattere di una persona".